“E quindi uscimmo a riveder le stelle” recita il Sommo nell’ultimo verso dell’Inferno della Divina Commedia. A costo di urtare i puristi noi aggiungiamo “con una bella birra in mano”.
Le stelle le ammiriamo soprattutto in estate, possibilmente in spiaggia con una bella Tarì accanto. Ad agosto sono le Perseidi a farci stare con il naso in su, le stelle cadenti della notte di San Lorenzo.
Dovremmo parlare di sciame meteoritico, d’accordo, ma facciamola semplice per questa volta: torniamo bambini e fissiamo quel manto di punti luminosi sognando di fluttuare senza gravità tra i corpi celesti.
Ecco, adesso molla quella birra.
Sarà stato questo oscuro presagio a farti inconsapevolmente rinunciare al sogno di diventare un astronauta?
Mettiamola così. Vanno pure bene mesi rinchiusi in spazi ridotti, dormendo in un sacco a pelo ancorato al muro, senza possibilità di fare una doccia e indossando indumenti che appena sporchi vengono lanciati come tutta l’immondizia nell’atmosfera a velocità ipersonica disintegrandosi in mille pezzi.
E passi anche il cibo liofilizzato o precotto.
Ma navigare tra le meraviglie del cosmo senza nient’altro da bere se non acqua riciclata per osmosi inversa anche no.

Niente bevande gassate nello spazio.
Alcolici o analcolici che siano, i drink sono severamente vietati in quanto l’assenza di gravità impedisce ad anidride carbonica e liquidi di separarsi all’interno dello stomaco provocando quello che viene definito “rutto liquido”.
Al confronto quello di Barney de I Simpson sarebbe un gesto di cortesia.
Rinunciare al sogno o creare innovazione?
Davanti a queste due opzioni il birrificio australiano 4 Pines ha scelto la strada più difficile: in collaborazione con l’agenzia aerospaziale Saber Astronautics, ha creato Vostok, una stout irlandese a basso contenuto di gas che può essere consumata anche migliaia di km sopra la Terra.
Per la birra a gravità zero i mastri birrai hanno scelto un gusto deciso e affumicato visto che nello spazio la lingua degli astronauti soffre di un leggero ingrossamento che attenua molto la percezione dei sapori.
Non è la prima volta che birra e spazio si incontrano.
Uno studio statunitense condotto nel 2001 ha analizzato la fermentazione del lievito in microgravità rilevando una maggiore efficienza e ipotizzando la realizzazione di una birra più alcolica.
E se si usassero materie prime che hanno orbitato intorno alla Terra?
Bizzarro ma vero, lo ha fatto nel 2006 il birrificio giapponese Sapporo insieme all’Accademia delle scienze di Mosca ideando una miscela denominata Space Barley: i semi dell’orzo in essa contenuto avevano trascorso cinque mesi a bordo della Stazione Spaziale Internazionale.
Perché realizzare una birra spaziale?
Non è solo per il piacere dei nostri astronauti.
L’assunzione di alcol è rigorosamente limitata in quanto le reazioni del corpo nello spazio sono ancora oggetto di studio. Non si tratta solo di creare una birra buona da gustare, ma anche di studiarne l’effetto sull’organismo misurando i tassi di assorbimento della birra a diversi livelli di gravità confrontandoli con il normale 1 g sulla Terra.
Non ci pensare nemmeno: per fare la cavia dovresti comunque essere un astronauta.
Chi salverà le serate dei viaggiatori spaziali?
Non sappiamo quando una space beer entrerà nei menù della NASA.
Né se l’avvio del turismo spaziale nel prossimo futuro darà una spinta decisiva a innovazioni di questo tipo.
Da comuni mortali continuiamo a osservare le stelle da quaggiù.
Che sia la notte di San Lorenzo o qualsiasi notte d’estate non importa: teniamo pronti i desideri da esprimere e sorseggiamo Tarì.
Che una birra spaziale lo è davvero, anche se in un altro senso.