Se vivi nell’area sud-orientale della Sicilia, potresti aver trascorso le estati sotto le sue fronde. Se sei stato in vacanza nel Val di Noto ne hai apprezzato la diffusione, visto che si concentra qui l’80% degli esemplari presenti in tutta Italia. Parliamo del carrubo, albero maestoso dai cui frutti produciamo la nostra Qirat, speciale birra doppio malto alla carruba.
Noi abbiamo un personale ricordo legato alle carrube, chi con una canna in mano a scuoterne i rami e chi appoggiato al tronco nodoso a goderne il fresco. E tu, cosa sai del carrubo?
Alcuni dati “anagrafici”
Il carrubo è un albero longevo che può sopravvivere fino a 500 o addirittura 1000 anni: nella zona degli Iblei ce ne sono alcuni la cui età è stimata in circa duemila anni.
Le sue origini geografiche sono controverse. Secondo molti sarebbe stato introdotto dai Greci e diffuso dagli Arabi, mentre altri ritengono sia stato portato dalle popolazioni fenicie, visto che la pianta sembra originaria del Libano.
Nessun dubbio sull’etimologia: carrubo deriva dall’arabo qīrāṭ o karat che significa carato, proprio come l’unità di misura utilizzata da orafi e gioiellieri nel commercio di metalli e pietre preziose. Si credeva, infatti, che i semi delle carrube avessero tutti lo stesso peso, pari a 1/5 di grammo, e per questo venivano adoperati per pesare oro e gemme.
Curiosità tra sacro e profano
Quella legata al peso del carato non è l’unica credenza associata a questo antico albero.
Se delle proprietà astringenti, antiemorragiche e antiacide eravamo a conoscenza, così come dell’alta concentrazione di sostanze che regolano i livelli di colesterolo nel sangue, ci ha sorpreso molto scoprire come, dalla mitologia greca alle Sacre Scritture, il carrubo sia stato protagonista di diverse credenze e superstizioni.
Abbiamo scoperto, per esempio, perché i carrubi sono spesso distanti dalle abitazioni. Gli anziani erano infatti convinti che questi alberi attraessero in modo particolare i fulmini; la superstizione risale alla mitologia greca, secondo cui il carrubo è nato dal corno di un toro colpito da un fulmine.
Sebbene non sia raro associare la sua fresca ombra al riposo, un tempo era diffusa la credenza secondo cui le cadute dal carrubo fossero inevitabilmente fatali. È stato persino coniato il termine dialettale scarrubbari (come testimoniato dallo storico Pitré) per indicare una caduta rovinosa, così come il gesto di scaricare qualcosa addosso a qualcuno, materialmente e metaforicamente.
La leggenda più diffusa racconta della presenza, sotto le sue radici, di tesori nascosti, truvature in dialetto, tanto più preziosi quanto più imponente è il tronco.
Il racconto più celebre in proposito è quello legato all’edificazione del Duomo di Monreale ordinata dal re normanno Guglielmo II. Si narra che fu la Madonna apparsa in sogno a ordinargli di scavare nei pressi del carrubo sotto cui riposava per trovare il tesoro e con quello costruire un tempio in suo onore. Guglielmo II fece sradicare l’albero e con le ricchezze rinvenute realizzò il monumento conosciuto, in Sicilia e nel mondo, come uno dei capolavori dell’architettura normanna.
Dal simbolico al pratico
Le credenze popolari hanno caricato il carrubo di valenze simboliche per lo più negative.
Eppure, i nostri avi ne apprezzavano le proprietà e non soltanto dei frutti: la linfa delle carrube verdi, soprattutto nell’area siracusana degli Iblei, veniva adoperata come adesivo per riparare i vecchi piatti di ceramica.
Un albero dai frutti preziosi
Ai giorni nostri, archiviate le dicerie, il carrubo ha recuperato il suo onore. Se in passato i suoi frutti erano destinati prevalentemente al campo zootecnico, oggi vengono impiegati in molti altri ambiti, dal settore dolciario e alimentare all’industria farmaceutica e cosmetica.
Per noi di Tarì la carruba resta simbolo di un’amicizia importante (come raccontiamo qui) e la nostra Qirat rappresenta un tributo alla terra in cui viviamo e alle persone speciali che l’hanno calpestata. Lasciando un segno indelebile che vale molto più di 24 carati.